Got to control the cameras (minus robotics) at NASA Johnson Space Center Mission Control for today’s SpaceX Dragon capture and was 536% fangirling the entire time. 😍🌟🌎🚀🎉
Solar System
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I computer non sono stati sempre fatti di schede madri e CPU. Un tempo, erano umani! E al Jet Propulsion Laboratory della NASA, i computer umani erano una squadra di donne talentuose, diventate le prime programmatrici di computer. In questa foto del 1959, un computer umano lavora con un computer-macchina, presto chiamato IBM 704. Questi ultimi erano in grado di fare alcuni calcoli veloci, ma non erano ancora affidabili o efficienti come gli esseri umani.
Crediti: NASA / JPL-Caltech
View of Earth from Apollo 12 spacecraft window
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SDO Sees Solar Eclipse – “Image of the Moon transiting across the Sun, taken by SDO [Solar Dynamics Observatory] in 171 angstrom extreme ultraviolet light on August 21, 2017.” Photo credit: NASA/SDO [4096 x 4096]
Enceladus striated surface as seen by Cassini .
js
RIP John Glenn
1968 North American Rockwell concept art depicts a Saturn V rocket rolling out from the Vehicle Assembly Building at Cape Canaveral.
ON THIS DAY: Titan, moon of Saturn, observed on November 30, 2014 by the Cassini space probe.
(NASA)
Lo spazio è un po’ meno inospitale del previsto, almeno questo è quanto emerso in seguito ad un esperimento a lungo termine svolto su alcune alghe e portato avanti da Fraunhofer-Gesellschaft, una delle più grandi organizzazioni di ricerca applicata in Europa, grazie alla collaborazione del governo tedesco e altri partner internazionali, tra cui la Stazione Spaziale Internazionale ISS.
Il progetto, capitanato dal Dr. Thomas Leya, a capo del team Extremophile Research & Biobank CCCryo appartenente alla sezione Bioanalytics and Bioprocesses IZI-BB di Fraunhofer a Postdam, rientra all'interno di un programma più ampio del Centro Aerospaziale Tedesco, chiamato Biology and Mars Experiment (BIOMEX). (Nota: CCCryo è l'acronimo di Culture Collection of Cryophilic Algae).
Lo scopo del progetto è stato quello di valutare la resistenza alle condizioni estreme offerte dallo spazio da parte di alcune alghe. Infatti, non potendo ricreare le medesime condizioni in laboratorio, il team di ricerca di Leya ha inviato sulla ISS alcuni campioni di alga attraverso l'utilizzo di un modulo Progress russo in data 13 luglio 2014, mentre le operazioni di rientro sono state affidate recentemente ad una capsula Soyuz.
Come lecito attendersi, le alghe prese in considerazione presentano delle specifiche peculiarità, tra cui particolari geni in grado di renderle naturalmente resistenti alle condizioni climatiche più rigide presenti sul globo. I campioni sono stati quindi scelti in base alla presenza dei geni Sphaerocystis sp. e il cianobatterio Nostoc sp., rispettivamente caratteristici delle alghe verdi norvegesi e delle alghe blu-verdi delle regioni antartiche, veri e propri esempi viventi di alghe in grado di sviluppare strategie di adattamento in grado di contrastare il freddo e l'essicazione.
I campioni ottenuti sono stati quindi trasportati sulla ISS per poter verificare la loro capacità di resistere, per un periodo di tempo prolungato, a condizioni che includono forti sbalzi termici, intense radiazioni UV e assenza di acqua prolungata. Le alghe in questione avevano già dimostrato di essere completamente resistenti a questi fattori durante la sperimentazione in laboratorio, tuttavia l'esperimento sulla ISS ha portato a risultati ancor più sorprendenti, dal momento che i campioni sono rimasti esposti alle condizioni estreme dello spazio nella parte esterna della ISS per ben 16 mesi, con solo un semplice filtro a densità neutra ad occuparsi di attenuare l'effetto delle radiazioni UV.
Tutti i cambiamenti di temperatura e di intensità delle radiazioni cosmiche sono stati monitorati e registrati attraverso una strumentazione dedicata; l'analisi del loro log sarà utile al fine di analizzare le esatte condizioni a cui sono stati sottoposti i campioni in questi 16 mesi, tornati intatti sulla Terra e in grado di dare il via a nuove colonie di alghe.
Ora che le alghe sono state recuperate non si può certo dire che l'esperimento sia concluso. Al momento i campioni sono in fase di analisi presso la Technische Universität di Berlino, la quale accerterà se il periodo trascorso nello spazio ha provocato danni nel DNA delle alghe e, nel caso in cui fossero presenti, quali sono le conseguenze di ciò. Le radiazioni UV a cui sono state esposte, infatti, sono estremamente pericolose per il DNA degli esseri umani, tuttavia ogni forma di vita reagisce in maniera diversa a queste condizioni avverse.
I risultati che produrrà questa ricerca saranno particolarmente interessanti, in quanto il loro campo di applicazione è molto vasto; si va dalla cosmetica, grazie alla realizzazione di protezioni solari che possano sfruttare le proprietà di queste alghe, sino alla possibilità di utilizzarle come aspetto fondamentale in una prossima spedizione su Marte. Ed è proprio questo lo scopo finale di questo esperimento; aiutare l'uomo a trovare soluzioni in grado di adattarsi a condizioni climatiche molto diverse da quelle naturalmente disponibili sulla Terra.
L'utilizzo di queste alghe, infatti, potrebbe rappresentare una base importante da cui partire per avviare la produzione indipendente di ossigeno sul pianeta rosso, uno degli aspetti principali per permettere ai moduli abitativi e alle prime colonie di potersi sostenere autonomamente. Ma non solo ossigeno, dal momento che le alghe sono anche un'importante fonte di proteine e potranno aiutare i primi coloni nella realizzazione dei pasti, sia durante la fase di viaggio che di insediamento. Abbiamo visto come Marte rappresenti una frontiera sempre più ambita da enti pubblici e privati, i quali si stanno preparando a quella che sembra essere la prossima grande corsa allo spazio. Tra tutti troviamo in testa Elon Musk, pronto a lanciarsi alla conquista del pianeta rosso con un progetto dettagliato e ambizioso; chissà che anche lui non abbia trovato particolarmente stimolante l'esperimento di Fraunhofer.